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Sono ormai passati degli anni da quando ebbi la fortunata intuizione di imputare al vento di marcia un'azione di disturbo alla carburazione del 3 ½.
Io mi ero accorto che l’erogazione del motore in relazione al numero di giri non era uguale in tutte le marce: in prima seconda e terza era una spada; in quarta, quinta e soprattutto in sesta si sedeva non tanto per il crescente sforzo, quanto per un palese calo di potenza.
Pensai quindi che il vento, prima variabile legata alla velocità, avesse effetti che andavano oltre la mera resistenza all’avanzamento del mezzo, e che, in qualche modo, l’aria influenzasse la potenza stessa del motore.
I carburatori VHB(Z)25 B hanno ciascuno due sfiati che mettono in comunicazione la vaschetta con l’esterno sfogando poi lateralmente sugli opposti fianchi del corpo. Il loro scopo è fornire a tutto il sistema la pressione di riferimento (quella atmosferica). Senza di essi il carburatore non potrebbe funzionare.
Ma se durante la marcia del veicolo si viene a formare una turbolenza che esercita pressione (o depressione) intorno ai forellini dei suddetti sfiati, il carburatore interessato non avrà più come riferimento la pressione atmosferica e di conseguenza la carburazione ne risulterà alterata.
La quantità di benzina prelevata dal motore ad ogni ciclo dipende infatti anche dalla pressione esterna agente sul pelo libero in vaschetta: una pressione maggiore sospingerà una maggior quantità di carburante nel condotto verticale che dal fondo della vaschetta porta al venturi; viceversa, una pressione minore ne ostacolerà la risalita. Avremo quindi una miscela più ricca nel primo caso e più magra nel secondo e in entrambi la carburazione non sarà quella corretta.
Nel tempo ho cercato di risolvere il problema in vari modi, ma sempre con risultati parziali: inizialmente ho chiuso con dei grani filettati lo sfiato orientato nel senso di marcia di ciascun carburatore; successivamente, prendendo esempio dagli enduro e dal K2, ho messo dei portagomma sui forellini collegando dei tubetti che poi ho portato a sfogare in varie parti della moto (sotto il serbatoio, dietro un fianchetto, addirittura dentro al fanalino di coda).
L’inconveniente non spariva mai del tutto e mi si palesava in un fenomeno odioso: tenendo il gas spalancato in accelerazione a regimi medio alti e chiudendo di botto come avviene, ad esempio, al cambio marcia, all’atto di riaprire il motore aveva un momento d’incertezza.
Avevo in mente da tempo una soluzione un po’ spregiudicata: forare il trave centrale del telaio in due punti opposti collegando da un lato il tubetto proveniente dagli sfiati e lasciando l’altro foro libero quale unico punto di scambio d’aria con l’esterno.
Il volume della camera così formata riesce ad assorbire le variazioni di pressione e alla prova su strada tutti i difetti sono scomparsi.
Chi volesse fare delle prove senza toccare il telaio potrà momentaneamente utilizzare una bottiglia o altro recipiente.
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